Il mio viaggio nel mondo dell'eros prosegue con un nuovo blog:




Buona lettura!


domenica 16 agosto 2009

Il primo incontro con Silvia

Conobbi Silvia per caso, una sera, in chat. Forse lei cominciò a desiderarmi fin da quella sera. Non so perché. Continuammo ad incontrarci in chat, senza rivelare i nostri veri volti.

Silvia imparò ad aspettarmi, in chat, indossando una gonna corta, in modo da potersi velocemente sfilare le mutandine, quando io glielo ordinavo. Imparò a restare seduta, davanti alla tastiera, con la gonna sollevata, e le natiche a diretto contatto con la sedia. Imparò ad infilare le mani sotto le sue natiche, allargandole, in modo da sentirsi ancora più aperta, esposta, mentre leggeva sullo schermo i miei messaggi. Di solito, io cominciavo descrivendo come avrei usato la sua bocca, senza riguardi, spingendo il mio sesso fino in fondo alla sua gola.

Silvia era felice di eseguire i miei ordini in chat. Di essere la mia puttana virtuale. Cominciai a chiamarla sul cellulare, dopo averla fatta eccitare in chat, per darle direttamente, a voce, i miei ordini.

Silvia era pronta. Volevo che conoscesse il sapore del mio sesso. Ci incontrammo, come per caso, in un bar, in un grande centro commerciale. Mentre parlavamo del più e del meno, in mezzo alla folla, io scrutavo il suo viso, per capire, se dopo, sarebbe stata mia.

Silvia mi chiese accompagnarla alla mia auto, senza dirmi cosa aveva deciso. Quando entrò in auto, si sfilò le mutandine, in silenzio. Poi mi guardò. Io la baciai dolcemente sulla bocca, e guidai l'auto verso un posto appartato, frequentato dagli innamorati. Mentre guidavo, una mano era tra le sue gambe, sul suo sesso, e lo accarezzava. Lei aprì le gambe, per essere più accessibile. Dopo un po', il suo sesso era già bagnato.

Quando arrivammo, fermai l'auto, estrassi il mio sesso già duro, e la guardai. Lei si chinò su di me, socchiudendo gli occhi, e sfiorando la punta del mio fallo con la sua lingua. Poi lo ingoiò lentamente, sospirando, come un dono che desiderava da tempo.


lunedì 3 agosto 2009

L'educazione di S.

Sara sta imparando a servirmi. Se la bacio, la sua bocca si apre languidamente per me, e tutto il suo corpo si abbandona. Quando è con me, non deve mai usare mutandine. Lei lo sa, glie l'ho insegnato. Se le mie mani vanno sotto la sua gonna, lei apre le gambe, obbediente. E spinge il bacino in avanti, per offrirmi meglio il suo sesso.

Ormai, quando le mie dita accarezzano il sesso di Sara, lo trovano già pronto, aperto. Mi piace che lei sia cosi' cagna, con me. Mi piace sentirla mugolare di piacere, quando la penetro con le dita. E poi, ad un mio cenno, è pronta a mettersi in ginocchio, piegata in avanti, sul divano. Con le gambe ben aperte, ed il sesso esposto, in attesa del mio cazzo. Che lei riceve con gioia, ogni volta, come un dono inaspettato.

E' ora di completare l'educazione di Sara. Di usare la sua apertura più stretta. E di rendere quell'apertura agevole, facile da usare, come il suo sesso. La prima volta, non sarà facile forzarla. Ma sarà bello. Lei sarà mia, completamente.

Sara è piegata sul divano, aperta, tremante, in attesa del mio cazzo. Le mie dita, muovendosi dentro di lei, la fanno eccitare più del solito. Volutamente. Poi, bagno un dito con la saliva. E lo infilo, lentamente, nel suo ano. Lei cerca di ribellarsi, per il dolore, per la vergogna. Ma con l'altra mano la tengo ferma, premendo la sua schiena sul divano. Spingo a fondo, e poi muovo veloce il mio dito dentro di lei, arrivando, alla fine, a strapparle mugolii di piacere. Finchè il piacere vince sul dolore e sulla vergogna.

Ora, Sara è pronta per il mio cazzo. Lo appoggio, dolcemente ma con fermezza, nella fessura tra le sue natiche. Le allargo con le mani, e comincio lentamente a penetrarla.


domenica 2 agosto 2009

Sogno del bosco



Stanotte ho sognato di essermi inoltrato nel fitto di un bosco. Camminavo lentamente nella penombra, aspirando i profumi lievi che provenivano dagli alberi, dall'erba, dai cespugli. A volte mi fermavo per accarezzare la morbidezza del muschio che copriva la corteccia di un albero.

Da un cespuglio di felci ho visto emergere una donna, nuda, selvatica, che camminava a quattro zampe con un passo elastico, da fiera. Mi si è avvicinata cautamente, con diffidenza, fiutandomi. L'ho accarezzata, prima timidamente, poi con più sicurezza. Ho percorso le sue labbra con le dita. Ho accarezzato i suoi capezzoli fino a farli diventare duri. Ho baciato i suoi capelli. Ho fatto dischiudere il suo sesso sotto le mie dita. L'ho sentita aprirsi, bagnarsi, mugolare di piacere.

Poi è scappata, nascondendosi di nuovo in mezzo alle felci, nel fitto del bosco. Ho ripreso la mia strada. Chissà se la rivedrò ancora.

domenica 10 maggio 2009

L'odore di F.

Spesso Federica spariva, per intere settimane. Quando tornava a casa, si spogliava lentamente davanti a me, si inginocchiava e restava in attesa, in silenzio, aspettando che le mettessi il suo collare. Poi, come in un rito, aspettava che offrissi il sesso alla sua bocca. E lo accoglieva con gioia.

Finché non avesse deciso di ripartire, Federica sarebbe stata ancora una volta mia, completamente mia. Avrei potuto usarla come desideravo: nulla mi sarebbe stato negato. Finché fosse rimasta con me, sarebbe rimasta completamente nuda, a parte il collare. Avrebbe dovuto bere e mangiare da una ciotola per cani, stando a quattro zampe, senza usare le mani.

Quando ero via, Federica era libera di aggirarsi per la mia casa, e per il mio giardino. Camminava lentamente, con un passo flessuoso, regale, da pantera. D'estate, amava restare sdraiata sull'erba, all'ombra degli alberi, in un punto dove c'era sempre una lieve brezza. Quando tornavo a casa, mi aspettava nel soggiorno, in ginocchio. Potevo sentire l'odore selvatico e dolce della sua pelle. Mi avvicinavo a lei, e restavo immobile, col sesso già eretto, separato dal suo viso solo dalla stoffa sottile dei miei vestiti. Lei apriva i miei pantaloni ed estraeva il mio sesso. Poi lo succhiava, quasi assorta, guardandomi fisso negli occhi. Era il suo modo per dirmi che voleva essere, ancora una volta, completamente mia.

Questo era solo l'inizio del nostro gioco. Ad un mio cenno, lei riponeva il mio sesso nei pantaloni, e si metteva carponi, con le gambe ben aperte, come le avevo insegnato. Le mie dita accarezzavano il suo sesso, facendolo bagnare e schiudere. Aspiravo il suo odore selvatico, speziato, inebriante. Poi le mie dita entravano nel suo ano, che lei apriva arrendevolmente per me. Dopo questo rito, potevo usarla come desideravo.

Quando ero a casa con Federica, anch'io preferivo restare nudo. Se ero seduto alla scrivania, lei si accucciava ai miei piedi. Conosceva perfettamente i ritmi del mio desiderio. Quando sapeva che non l'avrei rifiutata, si inginocchiava tra le mie gambe, prendeva il mio sesso tra le labbra, e lo succhiava lentamente, fino a che non riempiva la sua bocca. Poi mi guardava, in attesa. Senza usare parole, solo con le mani, io le indicavo se desideravo usare il suo sesso, oppure la sua apertura più stretta. A volte preferivo restare seduto alla scrivania, e continuare ad usare la sua bocca, afferrandole i capelli per guidare i suoi movimenti. Quando stavo per raggiungere il massimo del piacere, la mia stretta sui suoi capelli si faceva sempre più forte, in modo da spingere il sesso in fondo alla sua gola, togliendole il respiro, fino a che il mio seme non schizzava dentro di lei.

Dopo avermi soddisfatto, Federica ripuliva il mio sesso con la bocca, fermandosi ogni tanto per guardarmi, con un viso da scolaretta soddisfatta. Poi, si accucciava di nuovo vicino a me, in attesa. Ogni tanto, stiracchiandosi, mi sfiorava le gambe.

A volte, se mi desiderava più del solito, strofinava lentamente il suo sesso, aperto e bagnato, sulle mie gambe. Poi si girava, e prendeva il mio sesso, che ora sapeva già turgido, tra le labbra, guardandomi con aria innocente.

Nel folto tappeto sotto la mia scrivania potevo sentire l'odore della pelle di Federica, e del suo sesso. A volte, se lei era andata via, l'odore di quel tappeto accendeva la mia nostalgia, ed il mio desiderio. Ma sapevo che Federica sarebbe tornata ancora da me.

sabato 9 maggio 2009

F., la mia nuova cagnetta

Ho sempre amato la solitudine. E poi, trascorro a casa così poco tempo, che non ne ho per sentirmi solo.
Fuori casa, ci sono il lavoro, gli amici. A volte, c'è qualche donna da amare, ma solo per fare sesso, finchè uno dei due (di solito lei) non si stanca.
A casa, c'è il silenzio, il rumore del vento sulle foglie degli alberi del mio giardino.
Avevo pensato di prendere dei cani, da tenere nel mio giardino. Ho sempre amato i cani, e nel giardino c'è molto spazio. Avrei voluto prenderne due, un maschio ed una femmina, perchè non si sentissero soli.
Mi avevano consigliato un buon negozio di animali. Quando entrai nel negozio, provai una sensazione strana. Il commesso mi guardò negli occhi e, senza neanche lasciarmi parlare, mi disse "Ho ciò che fa per lei". Poi mi fece cenno di seguirlo nel retro. Là, semidraiata dentro una grande gabbia immersa nella penombra, c'era una donna completamente nuda. Una bella ragazza dai grandi occhi verdi. "Si chiama Federica" mi disse il commesso "ed è molto ben addestrata".
Il commesso aprì la porta della gabbia, e Federica uscì in silenzio, camminando a quattro zampe. Venne subito verso di me. Aveva un odore selvatico, ma buono, simile a quello di una gatta.
Federica si fermò davanti a me, si inginocchiò e, dopo avermi guardato negli occhi, aprì i miei pantaloni ed estrasse il mio sesso. Cominciò a succhiarlo, con dedizione, fermandosi ogni tanto per guardarmi negli occhi. Quando la mia erezione riempì la sua bocca, nei suoi occhi apparì una luce di soddisfazione, simile a quello di una scolaretta felice per il buon voto che sta per prendere all'interrogazione.
Sempre più eccitato, premetti le mani sulla nuca di Federica, e spinsi il mio sesso a fondo, sempre più a fondo, nella sua gola. Lei mi accettò con gioia, anche se a volte le mancava il respiro. Continuai a muovere il mio sesso nella sua bocca, fino a che il mio seme non sgorgò e, poco dopo, mi placai. Quando estrassi il mio sesso dalla sua bocca, lei mi guardò, quasi con orgoglio, ed ingoiò il mio seme. Poi si rimise a quattro zampe, si girò, allargò bene le gambe, e strusciò il suo sesso sulla mia gamba. Il suo sesso era caldo, aperto, bagnato.
"La compro" dissi al commesso. Poco dopo uscivo dal negozio, portando al guinzaglio Federica, che mi seguiva orgogliosa, completamente nuda, camminando a quattro zampe.

lunedì 4 maggio 2009

La mia prima cagna

Elena diceva di amarmi. Non era solo una questione di sesso: non voleva solo questo. Da mesi, mi diceva di voler essere mia, solo mia. Ma era troppo giovane per me. E poi, io non avevo tempo per lei: avevo il lavoro, le altre donne, le donne del mio passato, che continuavo a vedere, ad amare ...

Da anni io vivevo da solo, in una villetta di periferia, ma non avevo tempo per Elena. La amavo, ma allo stesso tempo volevo essere libero. Lei voleva che io fossi completamente suo. Elena mi aveva dato tutto di sè: aveva imparato a muovere la sua bocca, la sua lingua sul mio fallo, fino a conoscere alla perfezione i ritmi del mio piacere. Io avevo imparato ad usare alla perfezione il sesso di Elena, come un strumento musicale fatto di carne, che si apriva, si bagnava e vibrava fino all'orgasmo sotto le mie dita. Superando la sua ritrosia, la sua vergogna iniziale, il mio fallo aveva prima forzato, poi scavato ed aperto anche la sua apertura piu' stretta, fino a farne un passaggio agevole, che lei mi donava volentieri.

Per mettere alla prova l'amore di Elena per me, cominciai a sottoporla a prove sempre piu' umilianti, che lei accettava e superava, ogni volta piu' orgogliosa di essere all'altezza. Una sera, quando arrivo' a casa mia, fremente di gioia, di amore e di eccitazione, io la baciai sulla bocca, come sempre. Poi le dissi di inginocchiarsi, ed offrii il mio sesso eretto alla sua bocca. Dopo il rossore e l'umiliazione iniziali, lei accettò il mio sesso con gioia, come un dono. E, da allora, mi salutò sempre in quel modo. Io non glielo impedivo, anzi ... mi piaceva accarezzarle i capelli, mentre la sua bocca era su di me. E mi ero abituato, quando poi lei si rialzava e mi baciava sulla bocca, a sentire il sapore salato del mio sesso tra le sue labbra.

Un'altra volta guidai Elena verso il bagno, la feci inginocchiare nella vasca, con la bocca socchiusa, e le dissi di bere la mia urina. Nascondendo il disgusto, lei bevve, sorso dopo sorso, il fiotto caldo che usciva dal mio sesso, semieretto per l'eccitazione. Quando io mi fermavo per lasciarla ingoiare, lei mi guardava fisso negli occhi, orgogliosa, con un'aria di sfida nei suoi grandi occhi verdi da bambina. Alla fine, prese in bocca la punta del mio sesso, e la succhiò in silenzio, guardandomi sempre negli occhi. Continuai ad usarla spesso in quel modo. Non era necessario portarla in bagno: sapevo che la sua bocca non avrebbe lasciato cadere neanche una goccia.

Una sera, dopo aver fatto all'amore, lei mi disse ancora una volta di volere essere mia, solo mia. Decisi di metterla alla prova. Andai in cantina, per prendere il collare di una cagna di razza labrador, che per tutta la sua vita aveva vissuto con me, e che io avevo amato. Tornai su e, in silenzio, le infilai il collare. Lei mi guardò stupita, con gli occhi verdi sgranati. Poi capì. Si mise a quattro zampe, e cominciò a leccarmi la mano. Questo fu l'inizio di una nuova storia.



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